Censura e spionaggio, gli smartphone dei colossi cinesi finiscono al bando: “Buttateli subito”

Alcuni modelli di Huawei e Xiaomi sarebbero, stando a quanto detto dal Ministro della Difesa lituano, a rischio sicurezza: “Sbarazzatevi di Mi 10T 5G e P40 il prima possibile”. La risposta dell’azienda.

Huawey Logo (Adobe Stock)
Huawey Logo (Adobe Stock)

Due smartphone cinesi finiscono all’indice. Si tratta di Huawei P40 e Xiaomi Mi 10T, i flagship a connessione 5G dei due colossi tecnologici asiatici. Succede in Lituania, dove il Ministero della Difesa, sulla scorta delle indagini condotte dal Centro Nazionale di Cybersicurezza di Vilnius, ha raccomandato ai cittadini di sbarazzarsi dei due modelli in tempi “ragionevolmente brevi”. Altrimenti, la loro vita privata potrebbe essere oggetto di pesanti ingerenze.

Il report redatto dall’intelligence informatica lituana sostiene che il telefono di Huawei abbia delle grosse falle in termini di sicurezza, mentre quello di Xiaomi monterebbe addirittura degli strumenti di censura. “Ci raccomandiamo – ha detto il sottosegretario alla difesa Abukevicius – di non comprare altri smartphone cinesi e di buttare quelli già in vostro possesso in tempi ragionevolmente brevi”. Ovviamente, entrambi i brand hanno seccamente smentito le accuse degli esperti baltici. Ma quali sono nel dettaglio i risultati delle indagini sui due device?

Tra moti indipendentisti e dati personali trafugati e inviati a Singapore

Xiaomi MI 10T (Adobe Stock)
Xiaomi MI 10T (Adobe Stock)

Innanzitutto, le pesantissime accuse nei confronti di Xiaomi. Stando ai test effettuati dai tecnici del Centro Nazionale di Cybersicurezza, il modello della casa di Pechino adotterebbe del software in grado di individuare e censurare espressioni come “Tibet libero”, “Lunga vita a Taiwan indipendente” o “Movimento democratico”. In tutto, sarebbero 449 le formule censurate da parte del browser proprietario e delle altre app che girano sul telefono. Non solo, il Mi 10T 5G avrebbe anche trasmesso dati di utilizzo crittografati a un server di Singapore, a beneficio di un grande fratello cinese. “Xiaomi non ha mai limitato o bloccato i suoi utenti”, si difende l’azienda.

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Per quanto riguarda lo P40 5G di Huawei, invece, i problemi sono legati a software malevolo in vetrina sull’app store della casa. Più precisamente, virus sono stati trovati su alcune app presenti nella AppGallery del produttore di Shenzhen. “AppGallery – si difende un portavoce Huawei – funziona come gli altri store, cioè raccogliendo e processando i dati necessari agli utenti per scaricare e gestire le app di terze parti”, aggiungendo che i sistemi di monitoraggio dell’azienda sono al lavoro per offrire agli utenti solo app sicure.

Cina Matrix (Adobe Stock)
Cina Matrix (Adobe Stock)

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Che la propaganda abbia nei secoli fatto largo uso della censura non è certo un mistero e il regime cinese non fa differenza in questo senso. Se si aggiungono l’altissima tensione tra Pechino e i territori indipendentisti come Tibet e Taiwan, le denunce suonano assai inquietanti. Anche perché di recente la Cina ha chiesto alla Lituania di richiamare a casa i diplomatici, annunciando di voler fare lo stesso con i propri rappresentanti di stanza a Vilnius. La rottura diplomatica è in corso da quando la Repubblica Baltica ha riconosciuto uno spunto indipendentista di Taiwan, le cui missioni in Lituania sono state ultimamente identificate con la denominazione “Ufficio dei Rappresentanti di Taiwan”.

Non si è fatta attendere però la secca smentita da parte Xiaomi, di cui riportiamo in calce lo statement ufficiale:

“I dispositivi Xiaomi non censurano le comunicazioni da o verso i propri utenti. Xiaomi non ha mai limitato e mai limiterà o bloccherà alcun tipo di comportamento personale da parte dei propri utenti. Funzioni come quelle di ricerca, chiamata, navigazione sul web o l’uso di software di comunicazione di terze parti non sono e non saranno mai limitate. Xiaomi rispetta e protegge pienamente i diritti legali di tutti i suoi utenti, ed è conforme al Regolamento generale sulla protezione dei dati dell’Unione Europea (GDPR).”

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