Google trema: i suoi smart speaker avrebbero violato tecnologie Sonos

Un giudice americano della US Internation Trade Commission riconosce preliminarmente la legittimità dell’azione giudiziaria promossa da Sonos ai danni di Google, accusata di aver copiato dalla prima cinque brevetti. Il prossimo round si terrà il 13 dicembre, in un procedimento che potrebbe provocare conseguenze gravissime ai danni di Big G.

Nest Google Sonos causa
Una battaglia legale senza colpo ferire tra Google e Sonos (Screenshot Google Store)

Un nuovo terremoto potrebbe incidere a stretto giro di posta sul futuro degli smart speaker di Google. Un’azione legale intentata da Sonos (società americana apprezzata da sempre per i suoi validi prodotti audio, ndr), condanna invia preliminare il gigante di Mountain View, in quanto ritenuto soccombente. Il motivo? Big G avrebbe rubato cinque brevetti di Sonos e utilizzato il relativo materiale per la costruzione dei Google Home e degli smartphone della serie Pixel, violando conseguentemente i diritti di proprietà.

Vale la pena riannodare le fila del discorso a beneficio di una migliore chiarezza espositiva. La vicenda in oggetto risale a gennaio dello scorso anno, allorquando Sonos decise di trascinare in tribunale Google per aver copiato e messo in vendita le tecnologie sperimentate dall’azienda americana e condensate dentro appositi brevetti protetti dall’esclusività.

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Sonos chiede il divieto di importazione degli smart speaker di Google

Nest Google Sonos causa
Il verdetto finale è atteso il 13 dicembre prossimo (Screenshot Google Store)

L’incartamento presentato da Sonos chiarisce alcuni dettagli alla base della vicenda. In particolare, si legge che Big G avrebbe fatto uso di tali tecnologie sin dal lontano 2013, periodo in cui i due brand collaborarono a stretto gomito per dotare gli speaker di Sonos del supporto del Google Play Music. Ma c’è un altro importante sviluppo che emerge dai dati depositati dall’azienda americana. Oltre a Google, anche Amazon avrebbe copiato le medesime tecnologie, ma per questioni probabilmente sottese a strategie legali, il brand fondato nel 2002 a Santa Barbara, in California, preferì citare in giudizio soltanto Big G.

L’iter giudiziario conosce il suo primo epilogo venerdì scorso, allorquando un giudice americano della US International Trade Commission ha pronunciato una sentenza preliminare favorevole a Sonos, riconoscendone la legittimità delle pretese alla luce di quanto previsto dal cosiddetto “Tariff Act” del 1930 . Non si tratta, è bene chiarirlo, di una sentenza definitiva e per l’epilogo finale bisognerà attendere il 13 dicembre prossimo, a conclusione del procedimento di revisione.

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Laddove confermata, le conseguenze per Big G sarebbero comunque dirompenti, giacché il gigante di Mountain View potrebbe essere costretto a ritirare dal mercato tutti i suoi smart speaker. Nel frattempo, la risposta di Google non si è fatta attendere. Tramite il portavoce José Castañeda, l’azienda americana conferma di “non aver mai copiato brevetti Sonos e continuerà a sostenere la battaglia legale nel procedimento di revisione“.

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