Per diminuire l'inquinamento da rifiuti elettronici arrivano i dispositivi che si autodistruggono

Un team di ricercatori dell’Università dell’Illinois ha realizzato dei circuiti elettronici in grado di dissolversi alla fine del loro ciclo vitale: un passo in avanti per la riduzione dell’inquinamento elettronico.

Nei giorni scorsi a Ginevra è stato presentato il rapporto Unep, ossia il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente sui rifiuti elettronici.

Il settore dell’elettronica, che è infatti uno dei più grandi e di maggior sviluppo rispetto a tutti gli altri settori del mondo, l’anno scorso ha prodotto 41,8 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici (e-waste) che provenivano da smartphone, computer ed altri dispositivi elettronici, mentre dalle stime sembra inoltre che entro il 2018 gli e-waste potrebbero raggiungere i 50 milioni di tonnellate.

Anche se l’Europa e gli Stati Uniti sono ancora i maggiori produttori di rifiuti elettronici, sono in crescita le città asiatiche.

Il direttore esecutivo dell’Unep Achim Steiner ha affermato: «Stiamo assistendo all’arrivo di una quantità senza precedenti di rifiuti elettronici che alimentano una buona parte della montagna di rifiuti non riciclati e pone una crescente minaccia alla salute umana e all’ambiente, a causa di componenti pericolosi in esso contenuti».

Dal rapporto viene evidenziato che di tali rifiuti solo una percentuale tra il 10 e il 40% viene riciclata in modo conforme alle normative europee; infatti secondo il rapporto, il 90% dei rifiuti elettronici del mondo, per un valore di circa 19 miliardi di dollari, viene negoziato o scaricato in modo illegale ogni anno, alimentando il traffico non lecito di rifiuti.

Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente sui rifiuti elettronici (Unep) spiega che è necessaria una più forte cooperazione tra i Paesi del mondo ed una maggiore coerenza da parte dei legislatori, in modo da fortificare le normative nazionali ed ottimizzare la prevenzione del commercio illegale e dello scarico di rifiuti elettronici. Infatti si stima che il ciclo completo del mercato globale dei rifiuti, dalla raccolta fino al riciclo, ha un valore annuo di 410 miliardi di dollari, che lo rende un settore dalle grandi opportunità economiche e occupazionali, ma anche di forte attrattiva per la criminalità organizzata, che utilizza il mercato dei rifiuti allo scopo di guadagnare senza fatica, frodando il fisco e riciclando denaro sporco.

Molte imprese inoltre, spesso ignorano sia la normativa inerente al trattamento dei rifiuti che le norme di sicurezza, esponendo i lavoratori a sostanze chimiche tossiche, mentre gli scarti dell’elettronica vengono riciclati in condizioni pericolose per la salute e portati per la maggior parte nelle discariche.

Un’ulteriore fonte di reddito proviene dal riciclaggio di elementi presenti nei dispositivi elettronici, come il rame e l’oro.

In una situazione virtuosa di economia formale, invece, le parti costose di cui sono costituiti rifiuti elettronici potrebbero essere riciclate in modo sicuro e riutilizzati, togliendole di mano ai trafficanti illegali e riducendo di conseguenza i rischi per la salute delle persone, con grande beneficio per l’ambiente e generazione di nuovi posti di lavoro.

In questo momento storico, l’incoerenza sia nei regolamenti da parte dei Paesi esportatori e importatori, sia nella classificazione dei rifiuti pericolosi e contaminanti, rappresenta una sfida per i legislatori per combattere efficacemente il traffico illecito di questi rifiuti pericolosi.

Infatti, siccome l’esportazione dall’Unione Europea e dagli stati OCSE verso i paesi non OCSE di e-waste sia vietata, i rifiuti elettronici vengono dichiarati come prodotti di seconda mano per essere esportati ai Paesi in via di sviluppo, come l’Africa (Ghana, Nigeria Costa d’Avorio e Repubblica del Congo) e l’Asia (Cina, Hong Kong, Pakistan, India, Bangladesh e Vietnam).

Attualmente sono in corso negoziati tra i Paesi del mondo per definire i criteri per classificare le apparecchiature come rifiuti o non rifiuti, per evitare che i rifiuti elettronici vadano a finire nelle discariche dei Paesi.

Su Advanced Materials è stato pubblicato uno studio che può essere considerato un passo in avanti per la riduzione dell’inquinamento elettronico e una produzione più sostenibile; infatti un team di ricercatori dell’Università dell’Illinois ha realizzato dei dispositivi che si autodistruggono.

I ricercatori americani, infatti, hanno costruito dei circuiti elettronici in grado di dissolversi alla fine del loro ciclo vitale utilizzando vari stimoli che innescano l’autodistruzione, come il calore, la luce ultravioletta, le sollecitazioni meccaniche, oppure con un induzione a distanza, grazie ad un ricevitore di radiofrequenza e ad una bobina di riscaldamento ad induzione. Il team ha creato, inoltre un dispositivo che si dissolve in acqua, con possibilità di essere applicato anche nel settore biomedico. 

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