Un altro videogioco cancellato per sempre: cosa c’è dietro questa strage silenziosa

L’annuncio della chiusura definitiva dei server ha riacceso la discussione online sulla “morte” definitiva dei videogiochi, un fenomeno che comincia ad essere percepito come un problema a cui bisogna porre una soluzione.

Sin da quando l’industria videoludica ha cominciato a diffondersi nel mercato casalingo, passando dai cabinati alle home console, i videogiochi sono stati un prodotto “usa e getta”, ovvero dei software pensati per girare su una singola console oppure sulle console di una sola generazione per poi diventare obsoleti.

Ragazzo che sta per lanciare una tastiera per la rabbia
Un altro videogioco cancellato per sempre: cosa c’è dietro questa strage silenziosa – cellulari.it

Tuttavia alcuni produttori di console hanno cercato tra gli anni ’90 e 2000 di garantire ai propri fan una possibilità di conservazione dei software acquistati dotando le console di retrocompatibilità. Tale approccio si è visto tra PS1 e PS2, tra PS2 e PS3, tra PS4 e PS5 con tutte le Xbox che si sono susseguite e tra alcune delle console Nintendo.

Laddove per incompatibilità hardware – come tra PS3 e Ps4 o tra Wii U e Switch – non è stato possibile offrire la retrocompatibilità, si è proceduto alla conversione dei titoli delle precedenti console al nuovo formato, un modo per supportare la continuità videoludica di un titolo uscito nella generazione precedente che però comportava l’acquisto ex novo di una copia del software in questione.

Oggi tra remake, remaster e rebooth l’industria videoludica monetizza sulla nostalgia e sulla passione dei consumatori, celando quello che è un problema sempre più pressante e sentito, l’assenza di conservazione della cultura videoludica. I titoli che vengono ristrutturati e ripresentato sono solo quelli più famosi e che hanno maggiori chance di generare profitto.

La chiusura di Anthem dimostra che i live service sono a rischio definitiva scomparsa

Con l’evoluzione del mercato videoludico il problema della scomparsa dei videogame è diventato più profondo e sfaccettato. Da un lato c’è la questione acquisti in digitale, pratica che permette sì di mantenere una libreria per decenni ma che consiste nell’acquisto di una licenza di utilizzo che risulta inutile se il produttore decide di cancellarla una volta per tutte: caso che si è già verificato quando Ubisoft ha deciso di impedire l’utilizzo di The Crew anche a chi voleva giocare offline nel corso del 2024.

Padre e figlio che giocano ai videogames
La chiusura di Anthem dimostra che i live service sono a rischio definitiva scomparsa – cellulari.it

Da un lato c’è l’obsolescenza hardware che da sempre lega la maggior parte dei titoli ad una singola piattaforma, dall’altro c’è quella software che sebbene permetta di superare il problema del cambio generazionale non garantisce comunque la conservazione ab aeterno dei titoli, anzi potenzialmente è addirittura più definitiva di quella hardware.

Poi c’è il caso dei live service, giochi pensati per il multigiocatore online che sono utilizzabili solo ed esclusivamente finché il produttore decide di mantenere online i server. In questi casi non c’è una data precisa di scadenza del prodotto, ma c’è la certezza che presto o tardi il supporto verrà cessato.

L’ultimo caso in ordine di tempo è quello di Anthem, fps multiplayer sviluppato da Bioware e prodotto da EA. Il titolo doveva essere il gioco di punta del produttore canadese nella scorsa generazione, ma la sua realizzazione non ha soddisfatto né la critica né il pubblico. Nonostante un lancio travagliato e l’abbandono dei piani di sviluppo in seguito alla pandemia, i server sono rimasti online fino ad oggi.

Questo ha concesso ad una community di appassionati di giocarci per 6 anni, ma questi videogiocatori dovranno dirgli addio a gennaio 2026. EA ha infatti annunciato che i server chiuderanno e che Anthem chiuderà definitivamente i battenti. Una decisione che ha sollevato un vespaio di polemiche tra chi, nel corso degli anni, ha speso più del prezzo di acquisto della licenza.

Stop killing games lancia l’ennesimo appello in favore della conservazione videoludica

Al fine di non vanificare gli investimenti fatti negli anni ma anche di poter continuare a divertirsi nel mondo di Anthem, la community in questi giorni sta chiedendo ad EA di consentire la possibilità di continuare a giocare al titolo in modalità offline. La chiusura dei server infatti non si può impedire, poiché la decisione viene presa nel momento in cui i costi di gestione diventano superiori ai ricavi e dunque quando il gioco non genera più profitti per l’azienda.

Immagine di gioco tratta da Anthem
Stop killing games lancia l’ennesimo appello in favore della conservazione videoludica  – ea.com – cellulari.it

Se è comprensibile dunque che EA voglia chiudere dei server che rappresentano una perdita di denaro, aprire alla possibilità di giocare offline e dunque di fare divertire chi il gioco lo ha acquistato e vuole ancora giocarci potrebbe essere una mossa di customer care intelligente, nonché un modo per mantenere in vita una proprietà intellettuale che altrimenti cadrebbe nell’oblio.

L’annuncio ha spinto l’associazione Stop killing games a lanciare l’ennesimo appello all’industria: “Un numero crescente di videogiochi viene effettivamente venduto come una merce, senza una data di scadenza dichiarata, ma è progettato per essere completamente ingiocabile non appena termina il supporto da parte dell’editore, una pratica che non solo è dannosa per i clienti, ma rende praticamente impossibile conservare i videogiochi per il futuro”.

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