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Dal Covid al cancro: Astrazeneca potrebbe “rivoluzionare” la lotta ai tumori

Published by
Raffaele Pigneri

Uno studio mostra una grande efficacia di una versione modificata del vaccino in combinazione con l’immunoterapia. Entro fine anno i trial clinici sull’uomo.

Vaccino Oxford/Astrazeneca (Adobe Stock)

La ricerca che ha dato alla luce il vaccino anti-Covid 19 di Oxford/AstraZeneca sarebbe un promettentissimo alleato nella lotta ai tumori, se usato in combinazione all’immunoterapia. A dimostrarlo è un paper scritto da un gruppo di scienziati del prestigioso ateneo inglese e del Ludwig Institute of Cancer Research, istituzione internazionale impegnata dal 1971 nella ricerca sul cancro.

Il team ha utilizzato lo stesso vettore virale alla base del vaccino anglo-svedese per favorire la produzione dei linfociti T CD8+, cellule citotossiche che riescono ad attaccare e distruggere gli agenti patogeni, come le cellule infettate da batteri e virus o appunto quelle del cancro. È proprio la carenza di questi linfociti, spiega l’articolo, a limitare l’efficacia delle immunoterapie contro le cellule tumorali.

Come funziona il vaccino anti-cancro

Linfociti T attaccano cellule tumorali, render (Adobe Stock)

Il trial condotto dall’equipe di ricercatori ha avuto grandi risultati su una popolazione di topi, a cui è stata somministrata una doppia dose di un vaccino basato – alla stregua di Oxford/AstraZeneca – su un adenovirus degli scimpanzé (ChAdOx1) e un MVA (Modified Vaccinia Ankara) con codifica degli antigeni di tipo MAGE (Melanoma Antigene GEne). Queste ultime sono delle proteine presenti sulla superficie delle cellule cancerose che attivano la risposta immunitaria dell’organismo: in altre parole, il vaccino insegnerebbe ai nostri anticorpi a dar loro la caccia.

Ebbene, la doppia dose di vaccino ha dato gli esiti sperati, determinando una maggiore riduzione delle masse tumorali e una più estesa sopravvivenza delle cavie. La risposta immunitaria di linfociti T CD8+ nei topolini è stata infatti molto più consistente e più forte, grazie all’immunoterapia a base di anti-PD-1, gli anticorpi monoclonali che prendono di mira proprio le proteine PD-1. Il ruolo dei PD-1 è di prevenire le reazioni autoimmuni, ovvero le situazioni in cui il sistema immunitario aggredisce cellule “buone” dell’organismo.

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Sfortunatamente le proteine PD-1 non proteggono solo cellule sane. Esse si trovano anche sulla superficie delle cellule cancerose e le salvaguardano dagli anticorpi. Di qui il ruolo cruciale dell’immunoterapia anti-PD-1: tolti di mezzo questi guardiani, i linfociti T CD8+ prodotti in seguito alla doppia dose di vaccino ChAdOx1/MVA MAGE sono finalmente liberi infiltrarsi nelle cellule tumorali per distruggerle.

“Una cura per tanti tumori e con pochi effetti collaterali”

Coronavirus (Pixabay)

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“Sappiamo da tempo – ha spiegato Benoit Van den Eynde, che a Oxford insegna Immunologia dei Tumori ed è tra i firmatari del lavoro accademico – che le proteine MAGE sono come delle bandierine rosse piazzate sulle cellule tumorali per attirare gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario. Le MAGE costituiscono un ottimo bersaglio per un possibile vaccino, poiché sono presenti sulle cellule di una vasta gamma di tumori ma non su quelle sane. Ciò aumenta le potenzialità del vaccino stesso, che potrebbe curare anche le persone affette da diversi tipi di cancro, riducendo al contempo il rischio di effetti collaterali sul resto dell’organismo”. A breve i test clinici sull’uomo: entro fine anno il vaccino dovrebbe essere somministrato in combinazione all’immunoterapia anti-PD-1 a 80 pazienti colpiti da carcinoma polmonare a grandi cellule.

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Raffaele Pigneri

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