Riconoscere i deepfake diventa sempre più complicato all’occhio umano. Esiste però un deepfake che analizza particolari parametri
Negli ultimi anni, ha preso sempre più piede la tecnologia del deepfake. Grazie all’intelligenza artificiale, è possibile in pochi secondi ricreare in maniera fedele immagini o video praticamente identici alla realtà. Oltre che a scopo di intrattenimento, però, anche cybercriminali e hacker hanno messo sotto la lente di ingrandimento questo mondo, e i risvolti nei prossimi anni potrebbero essere disastrosi.
Riconoscerli sta diventando un’impresa, considerata la fase raggiunta da molti software. Se all’occhio umano le differenze sono ormai quasi impercettibili, in aiuto può venire la tecnologia. Alcuni ricercatori dell’Università di Buffalo stanno infatti testando un algoritmo che dovrebbe risolvere il problema. Per intercettare i ritratti deepfake, l’obiettivo è quello di sfruttare il riflesso negli occhi dei soggetti. I primi risultati sono già molto convincenti: il 94% delle falsificazioni sono state smascherate.
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Per proseguire con la battaglia contro i deepfake, il solo ausilio dell’occhio umano non è più sufficiente. È per questo motivo che ricercatori da ogni angolo del mondo stanno sfruttando metodi alternativi, che si appoggiano ovviamente sulla tecnologia e sull’intelligenza artificiale. Come detto, l’Università di Buffalo sta testando un algoritmo che ha già raggiunto risultati strabilianti: smascherato il 94% delle falsificazioni. Per ottenere questi risultati, il software in questione analizza nel dettaglio il riflesso negli occhi: se non è coerente da ambe le parti, il deepfake viene scoperto subito e segnalato.
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“La cornea è quasi una semisfera perfetta e riflettente. Per questo motivo, qualsiasi emissione di luce che giunge all’occhio ha una sua immagine nella cornea. I due occhi hanno pattern di riflessione molto simili, in quanto stanno osservando lo stesso oggetto. È un dettaglio fondamentale, anche se normalmente non ci facciamo caso” le parole del dottor Siwei Lyu, a capo della ricerca. Si tratta di un’importante mossa non solo contro la pornografia diffamatoria, ma anche in altri ambiti come la disinformazione politica.
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